I Trabocchi

I trabocchi sembrano “vivere di vita propria”, allungati lì nel mare, con la loro selva di bracci di legno che si sporgono in ogni direzione, almeno all’apparenza disordinatamente. Gabriele D’Annunzio li
vedeva così, come dei “ragni colossali” con un’anima. In effetti i trabocchi abruzzesi, antiche e particolarissime macchine da pesca, danno proprio questa sensazione. Con il loro fascino tradizionale e
unico punteggiano un meraviglioso tratto del litorale chietino dandogli anche il nome: la Costa dei Trabocchi. I trabocchi, poeticamente e suggestivamente descritti dal Vate D’Annunzio, più prosaicamente
sono palafitte per pescare. Ai bracci, infatti, si attaccano delle reti a bilancia che vengono calate e tirate su con degli argani. Secondo alcune ipotesi risalirebbero al 1700 ma da alcuni documenti sembra
che già nel 1200 si parlasse di costruzioni di legno sulla spiaggia. Pare comunque che furono dei coloni francesi, fabbri e falegnami, giunti in zona durante l’era del viceré spagnolo, a costruire questo sistema
per pescare senza doversi avventurare in mare in barca. Sia come sia, sono sicuramente molto affascinanti e fotogenici in qualunque stagione, specialmente con le prime luci del giorno o al tramonto.